post post sul meglio dell’ “emo-post-rock” (!!??)

In una scena della Grande Bellezza di Sorrentino una donna dice al protagonista che l’unico romanzo che aveva scritto doveva sicuramente essere stato scritto in un periodo in cui lui era molto innamorato. Credo che tutti abbiamo avuto un periodo del genere, tutti siam rimasti sotto una persona che nn dimenticheremo mai come non dimenticheremo lo struggimento che tanto ti faceva sentir vivo. Allora ero preso da un amore platonico per una tizia che mi ha moralmente distrutto, ma che in fin dei conti mi ha regalato uno dei periodi più belli della mia vita.

quanto darei per riavere qualcosa del genere…

Sono sempre stato un tipo nostalgico, che avete contro la nostalgia? E’ l’unico passatempo per chi non è ottimista verso il futuro! (altra citazione da La Grande Bellezza, l’ho visto proprio ieri) e oltre alle bellissime passeggiate in riva al mare la sera, alle discussioni sulle luci della città dall’Etna, ai messaggi poetici etc etc. con questa ragazza condividevamo una passione per la musica, ed in particolare per un determinato tipo di musica che a quei tempi era molto in voga tra gli “alternativi”: il post-rock.

Letteralmente il post-rock è il rock dopo il rock, dopo l’ultimo colpo di coda del rock coi Nirvana tutto si frantumò, almeno così si credeva allora, perché il rock aveva esaurito ciò che aveva da dire. Ovviamente il rock continuò, ma nacquero tutta una serie di band che in fondo non facevano cose granché nuove, ma utilizzavano l’assetto strumentale classico del rock per fare altro. Dagli Slint in poi si parla di destrutturazione del rock.

Gli Slint li ho visti a Roma, al circolo degli artisti. La cover del loro unico album degno di nota, Spiderland, ritrae questi quattro ragazzi che nuotano in quello che credo dia un fiume. Tutto il corpo è sommerso, e si vedono solo i loro visi da un’inquadratura abbastanza ravvicinata. Sono tremendamente giovani e sorridono di quel sorriso appena accennato di coloro che non hanno davvero cazzi per la testa. Mi immagino questi quattro tipi che fanno questo album che nn riscuote alcun successo o quasi, che hanno il loro lavoro, i loro studi o in generale i loro cazzi, ma che poi si vedono catapultati alla ribalta anni dopo in quanto riscoperti come inventori di un genere che iniziava a spopolare.

Gli Slint suonavano un rock catatonico con guizzi epilettici, ma parallelamente a questo post-rock se ne sviluppò una corrente che potremmo definire più emotiva. Ecco nei miei anni da innamoramento platonico (e purtroppo solo platonico!!) di questa roba ne ascoltati un fottio. Roba da struggimento totale e brutale, chitarre distorte che disegnano melodie scontate volte proprio ad andare a toccare le corde più profonde degli animi sentimentalisti come me. Ne ascoltai davvero tanta di questa musica, anche con la tipa ovviamente, tanto che per anni poi non potei più riprendere quella musica perché alle prime note l’animo mi si contorceva in spasmi di dolore per i ricordi! quando poi potei riascoltarla nuovamente mi accorsi che senza il supporto dei sentimenti molta di quella musica è alquanto scontata e noiosa. Di tutto quel periodo mi rimangono una manciata di pezzi che considero dei capolavori assoluti e che qui vado a raccogliere.

Innanzitutto gli Explosions in the sky. Dei texani che suonando con tre chitarre, una delle quali diventa basso quando serve, che costruiscono melodie semplici ma dagli incastri perfetti e una batteria che molto ricorda l’uso delle percussioni di Ennio Morricone, hanno sfornato un album di quelli che mi piace definire PERFETTI!! ovvero un album che dall’inizio alla fine non ha un momento che non sia giusto, che non lascia spaio neanche per un secondo alla noia e che trasporta la tua mente in cieli fatti di note delicate che ti accarezzano l’animo e esplosioni punk per liberare la tensione accumulata dai precedenti intermezzi musicali.

Gli Explosions dovevo vederli insieme agli Slint al circolo degli artisti di Roma, ma hanno annullato tutto il tour per problemi di salute di uno dei membri 😦

il resto della loro produzione, escludendo il secondo album album, è solo noia e ripetitività…

non so se gli Explosions in the sky o i Mogwai siano stati i primi a portare sotto i riflettori mondiali questo genere, credo i secondi, fatto sta che gli scozzesi Mogwai sono sicuramente stati più prolifici, meno ripetitivi. Anche loro hanno un album perfetto, uno di quelli che nn suonano mai o quasi nei live, che non è esattamente “emo” come quello degli Explosions ma che non ce la faccio a non mettere nella lista

in questo album c’è forse l’unico pezzo in cui cantano. Ricordo che quando in un’intervista gli chiesero perché non mettessero il cantato nei loro pezzi loro risposero che non avevano nulla di interessante da dire!! In realtà il loro pezzone emotivo è questo e ogni tanto lo devo ascoltare proprio in questa versione live che linko qui…violenza ed emotività…

I Mogwai li ho visti a Bologna all’Estragon, mi avevano parecchio deluso, e quando li rividi all’Ypsigrock festival a Castelbuono ho capito perché. A Bologna suonavo a volumi bassi. All’Ypsigrock, in una piazza chiusa da palazzi in pietra e con dei volumi sparatissimi mi hanno fatto godere in modo inverosimile. Feci vedere questo video ad una mia cugina inglese molto hippy, una vera hippy degli anni 60, e mi disse che questa era proprio la mia musica, che le sembrava di vedermi mentre ero “stoned” ad ascoltare questo pezzo. Ci aveva azzeccato. Sono tre note ripetute fino allo spasimo, variando solo l’intensità con cui vengono suonate…e lo stesso vale per quest’altro pezzo…

In Italia la band che spiccò su tutte a parte un album poi si perse nella banalità più totale: i Giardini di Mirò. Li vidi a Roma al dissonanze festival. Festival in cui ero andato quasi solo per loro, ma dove poi mi son ritrovato a vedere gente del tipo Battles, Alva Noto, Apparat, Patton e Fennetz e altri tra il meglio dell’elettronica di quei tempi. I Giardini di Mirò non sono elettronica, infatti anche loro dissero che apparentemente nn c’entravano nulla in quel festival, ma loro si sentivano a casa. Non so come visto che non c’azzeccavano na mazza in mezzo a quel crogiolo di artistoni internazionali dell’elettronica.

Dei Giardini di Mirò ascolto ancora un solo pezzo, un capolavoro del genere:

e come altri Italiani i Lento. Un gruppo romano sconosciuto, che fecero una demo post-rock che nessuno cagò di striscio e poi si diedero al post-metal. Genere suonato solo da loro credo. Questo pezzo era contenuto in quella Demo, che ho messo io stesso su youtube perchè se avessi perso la mia copia in mp3 lo avrei perso per sempre credo:

Dopo la prima generazione di gruppi ne vennero davvero tanti altri che per anni cercarono di portare avanti un genere che non poteva avere granché altro da dire…solo un pezzo di tutta sta nuova generazione di gruppi è nelle mie playlist

questi sono i pezzi che ancora ascolto di quella caterva di musica del genere che ascoltavo in quegli anni belli e difficili della mia esistenza. Ne aggiungo uno per puro campanilismo, il gruppo catanese che faceva questo genere e che vidi proprio con la fantomatica tipa allo Zo, e che con mia enorme sorpresa sentì citare a dei ragazzi, che dall’accento sicuramente non erano siciliani, al concerto dei Mogwai a Bologna. Non li seguì tantissimo, ma li stimo perché al contrario di altri gruppi del catanese di quel periodo che ancora si ostinano a suonare quei pochi pezzi che anno fatto in quel loro brillore di creatività, loro si son eclissati lasciandosi quegli anni alle spalle. Questo non è lo stile che mi ricordavo facessero ma è l’unico video trovato su youtube.

besos

oltre l’indie….nulla!!

C’era una volta l’indie,

che mai nessuno ha ben capito cosa volesse dire a parte che sia un’abbreviazione di “independence” or “independent”, che funziona quasi anche con l’italiano “indipendente”. basta cercare su wikipedia questa parolina per capire quante sfaccettature possa avere questa definizione, per non parlare dell’indie riferito al rock.

Parlando nello specifico della musica si è avuto un proliferare di generi e band che si son definiti indie fino ad essere una vera e propria subcultura con caratteristiche ben definite come questo video spiega bene

A Catania negli anni ’90 questa nuova tendenza si impose creando una sorta di “primavera Catanese” che avendo come punta dell’iceberg gli Uzeda, gruppone che sconfino i confini provinciali con il loro Noise delirante, vide una vera e propria proliferazione di gruppi minori cresciuti nella città Etnea (a tal proposito rimando a questo bell’articolo di Mestolate che sa scrivere parecchio meglio di me). Tendenza che ancora ci propina i suoi strascichi in maniera a mio umilissimo parere appena anacronistica.

La cosa era evidente ad un concerto di qualche giorno fa Allo Zo di Catania. Ad esibirsi due band locali ed i romani Sonic Jesus. Io capito lì per caso, qualcuno mi informa che c’è una serata con bella musica ed era pure gratis…”mi sa che i presupposti per una bella serata ci son tutti” mi dice questo mio amico. Affermativo. Mi porto una simpatica ragazza veneta conosciuta il giorno stesso  e andiamo a sentire ste band.

Tutte e tre le band erano assimilabili allo stesso filone post-indie-e non so cos’altro-rock, ma i primi erano due tipiche band del tanto vituperato indie catanese, che con risultati a volte brillanti a volte meno applica il principio che ciò “che suona storto e solo per questo ti dà sentore di originalità, e invece a lungo andare suona storto sempre nello stesso modo […]melodici ma mai pop, pesanti ma mai metal, spigolosi e sghembi ma mai più prog di tanto”. A parlare è qualcuno che oltre ad averlo suonato (o ad averi provato)  questo genere lo ha ascoltato fino alla nausea, cercando di sviscerare il discorso tra le note di questi gruppi e finendo dopo anni di ascolto con una decina di pezzi fantastici di cui conservo ogni dettaglio nella mia mente e un genere che ormai non ha più niente da aggiungere a quanto già detto e che cerca di riproporsi continuamente cadendo in una continua ripetizione di temi che a volte mi sa pure di ridicolo. In perfetto stile Indie le prime due band avevano anche membri in comune, cosa questa che impoverisce il ricambio nel genere, ma che fa di necessità virtù viste le povere risorse umane di cui si deve accontentare.

“Posso dire che sono tremendi?”. Questa è stata la reazione della mia ospite alla visione delle prime due band. Come darle torto. Magari tremende non le definirei, ma appunto il v0ler giocare con le dissonanze non vuol dire che puoi fare quel che cazzo vuoi e pretendere che tutti ti credano un genio, o cmq bravo  perché non segui le solite scale armoniche. Troppo banale? forse, ma se sei inascoltabile non hai risolto molto di più.

I Sonic Jesus invece si presentavano con un sound molto meno complesso e articolato, almeno apparentemente. Semplici giri con variazioni molto allungate e riverberi e distorsioni a go go. E’ quello che io definisco il MURO SONORO, un’onda (wave) di vibrazioni che ti travolge e fa galleggiare il tuo cervello in qualche strano luogo della tua subcoscienza.

“Questo pezzo sarebbe potuto durare anche 40min” mi dice Angelo- “sarebbe potuto durare per tutto il cazzo di tempo che avrebbero voluto!!” – aggiungo io

Ora ovviamente il fatto che io preferisca un certo tipo di mood musicale ad un altro è indubbio, ma è ancora angelo ad essere illuminante in tal senso: “a Catania le band rock devono necessariamente fare SPACCHIO, devono dimostrare di essere brave, non banali e controcorrente ad ogni costo”, quanta verità!! Sei una band rock che vuole fare rumore? Allora fallo come si deve, non cercare elucubrazioni sonore per far vedere che in fondo non ti limiti a due accordi aperti su un abisso di distorsione, perché alla fine E’ PROPRIO QUELLO CHE VOGLIO, e magari qualcun altro vuole qualche altra cosa, ma possibile che a Catania se fai rock devi fare quello? Sono 15 anni che si suona quello e solo quello, a suonarlo è quasi sempre la stessa gente e le nuove band non fanno che cercare di crogiolarsi in questo fango ormai putrido da tempo!! Ho visto live di band che suonano gli originari uno/due album iniziali ormai da 10 anni o giù di lì senza variazione alcuna (ci credo che son bravi nei live!!)E’ possibile che non si possa fare altro?

Questo è il grido disperato di un rockettaro che vorrebbe vedere un po’ di sano e soprattutto NUOVO rock germogliare, come un tempo successe, dalle basule di queste strade ormai stanche di sentire il solito indie…sarà per questo che negli ultimi anni ho avuto una tremenda deriva pop di cui ormai ho smesso di vergognarmi…si credo sia proprio perché L’INDIE MI HA DAVVERO ROTTO IL CAZZO!!!

ecco l’ho detto…

ed ora un po’ di sano rock come piace a me

 

Le notti bianche di un barrista

Non ricordo l’anno. Fu un’estate particolarmente calda, o forse io la percepii così. D’altronde ogni estate è calda in Sicilia, e forse proprio perché quell’estate la passai lavorando in un bar che utilizzava come aria condizionata la corrente che si creava tra i due ingressi non potevo che percepirla come calda.

Vallo a spiegare ai proprietari che per quanto potesse crearsi una corrente d’aria all’interno del locale, la sua temperatura non riusciva ad essere inferiore ai trenta gradi. Solo di sera riusciva ad essere un po’ più piacevole.

Tuttavia non mi lamentavo. La paga era buona, i proprietari ragionevoli (cosa rara), ed ero al bancone, al contrario di chi in laboratorio doveva passare le proprie ore di lavoro davanti a due grandi friggitrici. Quando mi capitava di entrarci avvertivo con fastidio il calore che emanavano a metri di distanza, e non invidiavo affatto coloro che dovevano starci per un’intera serata.

Il paesino è una di quelle isole felici in Sicilia, un luogo in cui tutto funziona a dovere, d’avanguardia anche per molti comuni “del nord”, figuriamo ci qui!! D’estate si riempie di turisti che vi sostano qualche giorno per visitare l’Etna, perlopiù tedeschi senza alcuna sensibilita per la “muntagna” e sempre intenti a violentare col loro sguardo di superiorità nordica gente e luoghi. La sera è uno di quei pochi posti in cui d’estate è possibile trovare un po’ di refrigerio dalla torrida afa, con una bella piazza in cui sedersi e ingozzarsi delle caloriche specialità che i bar centrali offrono. Io lavoravo in uno di questi bar.

Era la prima volta che mi capitava di offrire le mie scarse competenze da barista ad un posto con un’affluenza come quella. Davvero non vi era un attimo di pace. Dalle 20 alle 3 del mattino gli unici momenti che ci si poteva concedere era qualche pausa sigaretta spesso ritagliata attendendo che i pasticceri finissero l’ordinazione che il tuo tavolo attendeva da almeno venti minuti.

Ma quando potevo, mi concedevo la sigaretta in terrazza, unico luogo non raggiunto dalla frenesia che i clienti imponevano ai ritmi lavorativi. Solo il tempo di una sigaretta, giusto il tempo di dare alla mente una dose di pace e silenzio che rompesse col baccano che la gente frettolosa di essere servita creava. Da lì la folla in piazza era davvero un formicolio di gente nulla male da guardare. Starno come l’altezza riesce a mutare la prospettiva delle cose.

Una volta finita la sigaretta, bastava fare qualche rampa di scale per immergersi nuovamente in un’atmosfera caotica e rumorosa, ogni volta l’impatto era fastidioso: vi era un attimo di difficoltà nell’abbandonare un momento di stasi e calma e reintegrarsi nei movimenti meccanicistici che tre persone al bancone devono imparare a gestire per ottimizzare i minuscoli spazi entro cui sviluppare una spropositata mole di lavoro. In ciò le scale erano qualcosa di propedeutico. Man mano che discendevi il rumore si faceva sempre più ampio, la folla sempre più incombente. La struttura faceva in modo di introdurti per livelli alla stanza dell’inferno. Dal terrazzo fresco e pacifico, passavi al secondo piano in cui le luci accese del magazzino ti annunciavano che stavi rientrando da dove eri fuggito; in alcuni casi l’avvertimento era più forte se incontravi qualcuno intento a prendere qualcosa in magazzino senza nemmeno guardarti in faccia per la fretta. Ancora due rampe e passavi al piano del laboratorio, e lì iniziavi a prepararti al peggio che ti si annunciava sotto forma di camerieri (coloro che servivano ai tavoli in piazza) intenti ininterrottamente in un andirivieni continuo a passo sostenuto. Li invidiavo parecchio, e non solo perché la loro paga era la migliore (senza considerare le mance), semplicemente perché il loro lavoro si svolgeva perlopiù all’aperto; io invece svolgevo le mie mansioni al chiuso di un piccolo bar stracolmo di gente e di macchinari e motori che sviluppavano calore anche per produrre frescura, ovviamente per gelati e roba varia, mica per il cibo (potere dell’entropia!!!). Quando finalmente arrivavi al piano terra passavi dalla luce fioca delle scale a quella viva e fredda del bar, colma di voci sghignazzanti di euforia.

Tuttavia fu un’estate piacevole. Dopo serate del genere, benché si chiudesse sempre non prima delle quattro del mattino, ci rilassavamo sulle panchine della piazza ora vuota e silenziosa. Sull’altra sponda altri camerieri compievano il nostro stesso rito: entrambi intenti a scaricare l’adrenalina ancora in circolo nel nostro corpo e che non ci avrebbe consentito ancora di dormire. Ma a molti di noi non bastava. Era cmq estate, e in qualche modo dovevamo godercela. Così ci spostavamo in un bar poco distante aperto tutta la notte a bere qualcosa. Ormai i camerieri di quel posto erano nostri amici, spesso si sedevano con noi. A quell’ora i clienti da servire erano rari, e anche loro erano in fase relax. Il ragazzo al bancone appena mi vedeva ormai sapeva che doveva mettermi dinanzi il bicchiere per il whisky, l’unica domanda era “four roses, glen grant o william lawson’s?”. Sbagliava sempre la pronuncia di tutti e tre. Come me non ne capiva una mazza di whisky, ma io avevo il vantaggio di eserne un bevitore. Passavamo così fino a quando non ci fermavamo di bere e l’alcool defluiva dal corpo lasciando tutti i sintomi di una stanchezza acuta!

Uno dei nostri ogni giorno alle 8 del mattino doveva poi andare a fare il muratore, e a chi gli chiedeva come facesse a farcela, rispondeva semplicemente che in qualche modo doveva pur far mangiare sua figlia. Era semplicemente un ragazzo sotto la trentina. Non invidiavo il suo destino (anche se ciò non mi ha portato a far l’amore col preservativo), ma ammiravo la sua forza di volontà, anche se forse era dovuta al non avere scelta: probabilmente spesso non si ha nemmeno la scelta di poter fuggire e abbandonare tutto mandando a quel paese ile responsabilità che ti sei preso per scelta o incoscientemente. Non vorrei mai trovarmi nella situazione di dover fare una scelta del genere: ho paura di quanto potrei scoprirmi vigliacco!! Questo ragazzo l’ho incontrato tempo dopo fa, era con una ragazza del paesino dove vivevo io e si tenevano per mano. Chissà che fine ha fatto sua moglie ed il bambino…chissà se alla fine ha ceduto alla tentazione più volte esternata di mandare tutto a fanculo e riprendersi la sua giovinezza prima che svanisca del tutto.

Di tutto questo marasma di eventi, di un’intera estate di lavoro in un luogo nuovo con gente nuova (il ché è sempre stimolante), ho un ricordo che primeggia su tutti, uno di quei ricordi che ti resta caro da custodire…una piccola pietra miliare della tua esistenza.

Era ormai ora di chiusura, io bastavo da solo a servire i pochi clienti che ormai defluivano verso le proprie abitazioni mentre i miei colleghi iniziavano le pulizie. Le mie clienti erano due donne straniere, mi ricordo rumene, ma mi ricordo anche che parlavano in tedesco fra di loro (“traduco io al tedesco per la mia amica” mi disse una delle due)…erano accaldate da una serata passata ad arrostire carne di cavallo…

– due sambuca- glieli servì…

– ma è acqua!?- non capì

il mio sguardo perplesso la indusse ad aggiungere che era troppo: “in germania- o nel luogo da dove provenissero- questo te lo danno se chiedi un bicchiere d’acqua”…tradusse per l’amica, e lei, stavolta rivolgendosi direttamente a me se, senza bisogno di farsi tradurre “io so che tu lo hai fatto per il bene!!”…il leggero sorriso che mi spuntò non credo riuscisse a dire quanto quel commento mi aveva piacevolmente colpito…nei suoi occhi e nella sua voce era chiaro il ringraziamento per la dose abbondante di alcool che davo a due persone che come me si erano rotte il culo ed ora volevano sl rilassarsi d’avanti ad un bicchiere. Quello sguardo e quegli occhi erano colmi di un calore che mi ha riempì il cuore…

“può un solo attimo di beatitudine dare senso alla vita di un uomo?”

ad una vita intera non so…ma ad una notte in bianco sicuramente sì.

Mai dare ascolto ad un chitarrista!

Io suono, suono la batteria.

Che suoni la batteria è una parola grossa visto che ho sempre studiato da autodidatta e come tutte le cose che so fare non la so fare bene come vorrei, lasciandomi quel dolce amaro in bocca dovuto ad un qualcosa che ti piace fare, che ti da una certa soddisfazione fare, ma che ti lascia insoddisfatto visto che non la sai fare bene come vorresti e a causa di ciò il tuo corpo non riesce ad andare dietro la tua mente “creativa”

Per inciso non sono un massimalista

Il suonare la batteria, mi ha portato più volte ad esibirmi con varie band del cazzo, addirittura anche in chiesa con una rock band religiosa. Il chè non è un’ottima cosa per uno che odia stare su un palco ed essere sotto l’attenzione di decine di persone il cui stato di benessere momentaneo di pende solo da te visto che li stai martellando con la tua musica.

Questo a volte mi da parecchia soddisfazione a volte un po’ meno, dipende se mi diverto o meno. Io mica il pubblico!!

Mi ricordo in particolare una volta, in cui abbiamo suonato con una cover band in un locale che si chiamava il Led Zeppelin. Un locale dove i musicisti si esibivano in un angolo buio ad eccezione del batterista, sopraelevato rispetto agli altri e unico e solo ad essere ampiamente illuminato. UN INCUBO!! Allora Vittorio, uno dei due chitarristi (un tipo incredibilmente alto e che aveva due ragazze contemporaneamente, non due relazioni, ma proprio due ragazze ufficiali, ognuna all’oscuro dell’altra) ebbe la felice idea di farci una canna prima di suonare.

Per un batterista fumare prima di suonare equivale a fumare prima di fare un colloquio di lavoro. La Cannabis ha una proprietà rilassante che poco si addice al dinamismo fisico di uno strumento come la batteria. Quando suoni la batteria, almeno per come la suonbo io, non puoi essere rilassato, anzi…più sei stressato/incazzato, alias più energia hai da scaricare sul quel povero strumento, più il tuo groove ne beneficerà.

I risultati furono disastrosi. Non ne azzeccai una. Fu davvero una figuraccia. Allora mi ripromisi che non avrei più fumato prima di suonare. E tale fu fino a qualche tempo fa.

La serata stavolta era in un posto chiamato il. Avevamo già suonato lì, e come si suol dire noi ce l’eravam suonata e noi ce l’eravam sentita. I paganti era sei circa. E anche stavolta tutto faceva prospettare qualcosa del genere! Quindi quando il chitarrista (maledetti chitarristi!!), stavolta Emanuele, visto che non poteva bere per le sue emorroidi, mi ha proposto di farci una canna riecheggiava in me quella promessa fatta anni addietro, e la esternai, e non era la prima volta. Mi senti argomentare che tanto ce la saremmo suonata fra di noi come la volta precedente in quel posto. 15 min dopo il locale erta strapieno, una settantina di persone erano lì a sentirci. Altra emerita figura di merda!!

morale: mai dare ascolto ad un chitarrista!!

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uno qualunque

non porto addosso etichette di nessuna specie

non sono commendatore, non sono ingegnere , non conte, non comunista, non reazionario, non sifilitico, non accademico, non vegetariano , non capitalista, non anglofilo, non sportivo, non più nottambulo (un tempo lo ero) , non omosessuale, non donnaiolo.

E neppure avverso d’altra parte all’omosessualità, né cultore del mattinierismo, né antisportivo, ne anglofobo, né anticapitalista, né carnivoro fondamentalista, né immune del tutto da malattie ereditarie.

E se in questo elenco di qualità specifiche non ho anche messo che nn sono cattolico né anticattolico, né sognatore né realista, è perché cattolici e sognatori sono due specie scomparse dal nostro pianeta tempo addietro , e di cui solo alcuni esemplari sparutissimi sopravvivono ancora su un altipiano  inacessibile della regione delle Amazzoni, in compagnia degli ultimi pterodattili e degli ultimi dinosauri.

Adoro citare perchè c’è sempre qualcuno che ha saputo dire le cose meglio di me.

Non riesco a collezionare nulla perchè richiede troppa costanza, credo sia anche per questo che non ho mai finito un puzzle.

C’è chi dice che vivo in una realtà tutta mia, che ho la testa per aria,  io dico di vivere con i piedi ben piantati sulle nuovole (altra citazione).

Dimentico sempre tutto ovunque, mi chiedono dove ho la testa, io riponderei dove vorrebbe stare anche tutto il resto del corpo.